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Ausilia Giordano
| - Poeta, che nei tuoi versi t'interroghi
e pietoso ti chini sul mio infinito dramma,
non chiedermi perché il nome dei miei figli
emetto in un labile sussurro.
Io invoco.
Né perché il flebile suono
del mio lacerante lamento
come acuta saetta fende il cielo.
Io imploro.
Affilate lame trafiggono ogni atomo
del mio essere sostanza,
ogni qualvolta a raffiche mi scuote
in un costante tormento l'energia del sisma.
Come boato d'uragano d'aria si gonfia
deflagra uccidendo i miei bambini,
i miei studenti, i miei poeti, i miei cultori.
Dolente sono io.
I miei gemiti superano le doglie del parto
nel veder e udire le mie creature
pallide in volto dal terrore piangenti e tremanti
e dallo sgomento forte gridanti,
scalzi fuggenti con i fianchi cinti.
Non voglio oblio al mio dolore,
né freno né conforto attendo.
Non chiedo ma non taccio.
Acuminate lance mi trapassano
imbevendosi del sangue dei miei ragazzi.
Spine furenti mi flagellano la mente
mentre mi divorano i quesiti:
Dove sono i miei amati figli?
Quelli che celeri mi cullavano
nel vagheggio diletto del loro cuore
e da me mai si partivano?
Quelli che la mia cultura nutrendo
con passione per l'arte mi celebravano?
Quelli che a me accorati ritornavano
dopo tanto esplorare mondi lontani?
Io li chiamo.
Se chiudo gli occhi vedo schiere di spirti
uscire dagli inermi trafitti corpi
in fulminee fughe verso il cielo.
Io gemo.
Quelli che ancor mi restano
e che respirano alito di vita
mi appaion quali pallide esistenze
uscite da bianchi sepolcri.
Più non resto ad attendere in silenzio.
Io grido.
Scrivi allor questo ancora, poeta,
perché il mondo non spenga i riflettori
sull'agonia di un tale dramma
offrendogli vane chimere e briciole di retroscena.
Perché non resti duramente invalidato
nelle sue cruenti circostanze. - |
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«Affinché il dramma del sisma in Abruzzo e in altri Paesi dilaniati dal terremoto non restino duramente invalidati.» |
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